Un mondo comprensibile: il microcosmo della carta oraria

I parte

Relazione presentata al II Convegno Internazionale di Perugia

19 giugno 2010
L.A. 161, 2010
Patrizia Nava

 

Hubble

È sbagliato pensare che il compito della Fisica sia di scoprire come la Natura è.

La Fisica si occupa di ciò che della Natura possiamo dire noi.

Niels Bohr

 

Il cosmo come schema interpretativo

Qualunque descrizione della realtà, proprio in quanto descrizione, non può prescindere dall’osservatore, il cui punto di vista è la prospettiva attraverso la quale la visione prende forma e senso. Ovvero, come diceva Sartre ne L’Esistenzialismo è un Umanesimo, «Esistono dei segni... Ma sono io che do a questi segni il significato con cui li interpreto

Qualunque tentativo di costruire una cosmologia, cioè una descrizione del mondo, implica la presenza formativa di un osservatore, che utilizzi un codice scelto per rappresentare la propria percezione/apprensione della realtà. Al pari della Fisica, che si occupa solo di ciò che noi possiamo dire della natura, anche la Cosmologia è una creazione umana, non naturale, e in questo senso qualunque cosmologia è al contempo una cosmogonia, la creazione di un mondo in cui l’uomo/osservatore è elemento imprescindibile, con funzione demiurgica.

La stessa etimologia del termine greco kosmos (κοσμος) chiarisce il concetto: il suo significato originario è «ordine, quindi ornamento, eleganza, cioè armonia delle parti» [1], anche se non è certo quando e dove la parola assunse il significato principale di Ordine Celeste.

Sta di fatto che già prima dell’epoca ellenistica alessandrina, luogo e momento di nascita dell’astrologia occidentale propriamente detta, i miti cosmogonici babilonesi raffigurano la sconfitta di Tiamat, il caos primigenio, da parte del dio Marduk, la cui vittoria crea quel “Giusto Ordine” che tanta parte avrà, da un lato, nella formulazione di un canone estetico di armonia (e kosmeo è dopotutto la radice greca di kosmos), come dimostrano i capolavori di oreficeria babilonese e siriana del secondo secolo prima di Cristo, ispirati a forme astrali; dall’altro nella definizione ideologica di regno come ordine perfetto in terra, nonché del ruolo del regnante in continuo contatto con la dimensione astrale del divino tramite presagi. [2]

Il kosmos come ordine armonioso si contrappone quindi al caos originario – χαος, cioè voragine, vuoto informe, abisso tenebroso nel quale gli elementi primigeni, ancora indistinti e confusi tra loro, attendono l’intervento ordinatore.

 

genesi

La creazione del mondo secondo il Genesi. Separazione della luce dalle tenebre.

Hartmann Schedel, Das Buch der Croniken, Norimberga 1493

 

Si dice che l’uomo abbia orrore del caos, ed in effetti questa visione cosmogonica è comune a diversissime e molteplici culture. E sebbene Bernadette Brady abbia segnalato come gli antichi miti creazionisti facciano riferimento a due distinti paradigmi (quello della creazione caotica non lineare e quello, contrapposto, della creazione cosmica basata sul rapporto causale) [3], rimane in queste narrazioni cosmogoniche un comune senso della necessità del confine, dell’ordine, del “muro intorno al giardino” (significato concreto della parola Paradiso, il giardino dell’Eden) che permetta alla limitata capacità di comprensione umana un’interpretazione significativa del reale, altrimenti schiacciante perché, letteralmente, incontenibile.

L’idea di un cosmo ordinato, armonico e pertanto comprensibile, fiorirà poi in Grecia durante un lungo arco temporale, che va dai poemi omerici ai giorni di Claudio Tolemeo, passando attraverso le riflessioni di Talete, Anassimandro, Anassagora, Parmenide e molti altri. [4]

Ma fu la scuola pitagorica, intorno al V secolo a.c., a sviluppare pienamente l’idea di un Universo visto come un insieme ordinato, basato su relazioni matematiche che ne determinano la natura. Lo spettacolo degli immutabili, regolari moti dei corpi celesti fu tradotto in rapporti numerici e geometrici. Inoltre, la scoperta di proporzioni costanti tra la lunghezza delle corde della lira e gli accordi di base, suggerì la connessione tra musica e astronomia. Siccome i primi quattro numeri erano sufficienti a spiegare le armonie tra i suoni, l’intero universo doveva basare le proprie proporzioni e i propri movimenti su quegli stessi numeri, producendo un’armonia celestiale tanto reale quanto impercettibile all’imperfetto udito umano. I concetti di ordine, armonia e bellezza impliciti nel termine kosmos trovavano così piena attuazione.

Nessuna sostanziale minaccia a questa visione del mondo fu portata dai grandi filosofi successivi. Nel Timeo di Platone, il Demiurgo modella la materia osservando le idee eterne, imponendo ordine a tutto ciò che vive, non creando dal nulla, ma operando in un contesto di elementi già esistenti, che passano dal disordine all’ordine attraverso forme e numeri, cioè geometria e matematica, le scienze che permetteranno all’uomo di conoscere l’universo. E nella versione aristotelica del cosmo, non inganni la distinzione tra mondo celeste e mondo sublunare, l’uno circolare ed eterno, l’altro rettilineo e temporaneo: il cosmo rimane comunque chiuso, perfetto, finito, come il movimento delle sue sfere che non avrà mai fine. Questa sarà l’immagine dell’universo ereditata nel II secolo da Tolemeo, destinata ad un enorme successo nei secoli seguenti. All’infuori di questa sfera niente esisteva che fosse degno di interesse o di indagine filosofica o scientifica.

 

Cellarius

Andreas Cellarius, Atlas coelestis seu Harmonia Macrocosmica, Amsterdam 1660, tav.2 (Planisphaerium Ptolemaicum), Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.

 

Fu soltanto nel XVII e XVIII secolo che questa immagine cominciò a cambiare, grazie ad un periodo di ricerche straordinariamente innovative magistralmente presentate dal filosofo Alexandre Koyré nella sua famosa opera Dal mondo chiuso all’universo infinito. [5]

Tale evoluzione portò ad una concezione diversa del significato stesso del termine Universo, che da approssimativo equivalente di mondo (calco linguistico del greco kosmos), inteso come tutto il creato, si trasformò, in particolare a partire dagli anni ’80, in un termine utilizzato per riferirsi all’intero continuum spazio-temporale, comprensivo di tutta la materia e l’energia, a tutto ciò che esiste, insomma, indipendentemente dal grado di esperienza che ne fa l’osservatore. E ciò nonostante, il punto di riferimento concettuale dell’astrologia rimane il cosmo tolemaico. Perché mai? Che cosa manca alla moderna concezione di universo potenzialmente infinito e indipendente dalla presenza dell’osservatore, tale da rendere questa idea praticamente inutile ai fini conoscitivi o interpretativi? Come, paradossalmente, ci ricorda Bohr, fisico moderno sicuramente lontano dal pensiero analogico astrologico, la pietra di paragone di ogni interpretazione umana rimane l’uomo. Solo un cosmo a misura d’uomo può essere per l’uomo significativo.

Il fatto che il cosmo tolemaico sia una costruzione umana e pertanto artificiosa, il fatto che non corrisponda pienamente a ciò che noi, al giorno d’oggi, riteniamo, a torto o a ragione, scientificamente provato, è del tutto irrilevante. Quella visione del mondo non è la realtà, non pretende affatto di essere una descrizione impeccabile della natura, ma è uno dei tanti codici che noi osservatori possiamo utilizzare per dire qualcosa di soggettivamente significativo sulla natura, come noi la sperimentiamo.

Lo dimostra il fatto che, con le dovute correzioni matematiche e teoriche (dalle sfere omocentriche di Eudosso alla teoria degli epicicli e quant’altro), questa descrizione del mondo rende perfettamente ragione della nostra esperienza terrestre del cielo stellato e dei suoi moti, tanto quanto le più moderne, “esatte” descrizioni scientifiche, mantenendo in più intatta la prospettiva umana che, sola, può dare valore umano all’universo osservato.

 

De Sphaera

Soluzioni geometrico-matematiche al moto dei pianeti

De Sphaera, XV sec. - Modena, Biblioteca Estense.

 

L’astrologia come codice interpretativo

La necessità di un codice interpretativo artificiale, cioè creato dall’uomo, che ci permetta di leggere una natura altrimenti inevitabilmente aliena, ci ricorda l’essenza stessa di ogni operazione astrologica: dare un senso a ciò che appare estraneo, utilizzando uno strumento di lettura che, al pari di qualunque altro codice simbolico, linguaggio verbale compreso, è artificiale e, per definizione, arbitrario, senza che questa arbitrarietà infici la sua validità semantica o descrittiva.

Il linguista americano Edward Sapir, riprendendo nel ‘900 la discussione sui rapporti tra codice linguistico e pensiero già impostata da filosofi del linguaggio di epoca romantica come Herder e Humboldt [6], ha scritto:

 

…è possibile che il pensiero senza il linguaggio sia altrettanto inconcepibile che il ragionamento matematico svolto senza il supporto di un simbolismo matematico adeguato. Nessuno pensa che anche la più difficile delle proposizioni matematiche sia intrinsecamente dipendente dall’esistenza di un sistema arbitrario di simboli, ma è impossibile sostenere che la mente umana sia capace di arrivare alla formulazione di una proposizione di questo tipo, e di ritenerla una volta formulata, senza l’aiuto di questo sistema di simboli. [7]

 

È l’uso di un codice leggibile che crea una realtà comprensibile. Come Ernst Cassirer chiarisce, ciò che accomuna le diverse sfere della cultura (linguaggio, mito, religione, arte, ecc.) è la loro natura di "forme simboliche" in quanto rappresentano mediante segni simbolici il contenuto dello spirito:

 

Il simbolo non è il rivestimento meramente accidentale del pensiero ma il suo organo necessario ed essenziale […]. L'atto della determinazione concettuale di un contenuto procede di pari passo con l'atto del suo fissarsi in qualche simbolo caratteristico. [8]

 

Secondo Cassirer i simboli (ogni forma di linguaggio inteso in senso lato, codice astrologico incluso) non sono il riflesso, la riproduzione delle cose. Seguace ideale di Kant, Cassirer non intende la conoscenza come copia, in quanto non crede che l'uomo possa arrivare all'in-sé delle cose. Il segno, anziché rimandare alla cosa pura, sarebbe quindi piuttosto lo strumento della sua costruzione. Per illustrare il processo della conoscenza, la usuale metafora dello specchio, perciò, è inappropriata: il linguaggio è lo specchio di noi stessi, della nostra coscienza delle cose, e non lo specchio di esse.[9] Analogamente, la carta oraria non è la fotografia della realtà, ma la costruzione di una mappa concettuale del reale a scopo interpretativo.

Lo stesso Kant, del resto, era convinto che l’uomo non fosse in contatto con la realtà come essa effettivamente è, ma che tutto ciò di cui abbiamo esperienza fosse pre-formattato, interpretato dalla mente, in base a categorie di relazione spaziale, temporale e causale. Bernadette Brady avrà senz’altro ragione nel definire l’universo come atemporale e acausale, caotico e ricchissimo di variabili, un’idea che sembra trovare riscontro nelle teorie quantistiche e del caos, ma i limiti stessi della struttura mentale umana ci impediscono di percepire il mondo in questo modo, o perlomeno di dargli senso. La nostra mente elabora le informazioni ricevute dal reale e le riorganizza, le seleziona e le semplifica, le riduce in classi e categorie, le codifica. Come scrive Sapir:

 

Occorre che il mondo delle nostre esperienze sia enormemente semplificato e generalizzato prima che sia possibile fare un inventario, a base di simboli, di tutte le nostre esperienze di oggetti e di relazioni, e fare questo inventario è indispensabile, prima che noi possiamo trasmettere idee. [10]

 

La nostra capacità di comprensione dà forma alla realtà, non viceversa. E lo sviluppo del codice e della realtà così codificata, o almeno la nostra comprensione di tale realtà, procedono di pari passo.

Parlare di arbitrarietà del codice di lettura non significa affatto affermare che le possibilità di codificazione del reale siano infinite. Chi studi astrologia si sarà certo imbattuto in questo apparente paradosso: non esiste un solo codice valido, così come non esiste una sola lingua corretta. Posso esprimere concetti molto simili, anche se non necessariamente identici, in qualunque lingua io scelga di utilizzare. Ma mentre posso esprimermi in francese, in italiano o in giapponese, senza per questo inficiare il senso di ciò che comunico a chi condivide con me questo codice, non posso invece svegliarmi una mattina e inventare un codice casuale, non condiviso, e pretendere di comunicare con quello. La cosiddetta “lettura della carta” può avvenire in modo efficace utilizzando tecniche assai diverse, purché se ne preservi la coerenza interna. Differenti sistemi astrologici hanno diritto di definirsi come altrettanti diversi indici puntati verso la stessa luna. Ma, come dice Robert Hand paragonando astrologia e linguaggio, non possiamo costruire un qualunque costrutto a piacere.

 

Solo alcuni costrutti saranno possibili, magari un gran numero, ma certamente finito. Ciò che possiamo dire della realtà è determinato: a) dalla struttura della coscienza umana; e b) dalla struttura della natura – o “dell’apparentemente esterno”. [11]

 

Oraria come disciplina cosmologica?

Ciò che mi affascinò dell’Oraria, quando iniziai a studiarla anni or sono, non fu la possibilità di dare risposte precise a quesiti precisi, ma la sua incredibile capacità di sovrapporre uno schema strutturato al mondo, facendolo apparire ordinato e significativo.

Se la struttura del cosmo è sostanzialmente il frutto di una scelta umana, di una visione limitata dell’universo, selezionata in base all’esperienza dell’osservatore che attribuisce valore, ordine e scopo a ciò che percepisce, allora l’Oraria è una disciplina prettamente “cosmologica”, avversa all’approccio indifferenziato, universalistico, onnicomprensivo, in quanto volutamente limitata, selettiva, ordinata, escludente ogni elemento superfluo non interpretabile dall’osservatore e non pertinente alla questione specifica.

La carta oraria non ambisce a rispecchiare l’universo, ma a dipingere l’immagine di un cosmo miniaturizzato che solo è portatore di significato per l’osservatore (il cosiddetto Richiedente) in uno specifico, pregnante istante spazio-temporale, scelto consapevolmente. È una sezione del caos che trova la propria leggibilità nel limitare, recintare, quindi ordinare e dare senso al tutto, riferendolo al particolare.

La virtù dell’oraria sta nel sovrapporre al caos della molteplicità, incomprensibile e imprevedibile, uno schema di riferimento chiaro e, perché no, riduttivo, ma proprio per questo interpretabile dalla ridotta capacità umana di capire.

Il risultato è un mondo comprensibile.

 

Cosmogonia del microcosmo: la selettività creativa della carta oraria

La creatività “micro-cosmogonica” della pratica oraria si manifesta sin dal momento in cui la domanda viene posta. La carta oraria è sempre il frutto di una scelta precisa, per quanto non sempre pienamente consapevole, da parte del richiedente. Questi non solo seleziona con assoluta intenzionalità la questione da porre, ma decide anche il momento e, attraverso la scelta dell’astrologo che dovrà rispondere, addirittura il luogo di domificazione, sappia o non sappia ciò che questo termine significhi. Il momento e il luogo in cui l’astrologo prescelto riceverà la domanda, diventeranno infatti le coordinate spazio-temporali della carta astrale da interpretare.

 

Infatti, anche se inconsciamente, l'interrogante esercita un controllo preciso sul momento della domanda…. Nel cosmo tradizionale, nulla è fortuito; non esiste il puro caso. Ogni cosa è interconnessa e tutto ha significato. Il fatto che l'interrogante scelga quel particolare momento per fare quella particolare domanda è la conseguenza di assolutamente tutto ciò che è successo nella sua vita fino ad allora. C'è una ragione per cui questo cliente telefona all'astrologo mentre sta lavorando, mentre l'altro decide di aspettare la pausa-pranzo; perché l'uno coraggiosamente prende il telefono e chiama, mentre l'altro esita e interrompe la chiamata. Le differenze – molto più numerose e soprattutto molto più sottili di queste – che tali semplici azioni rivelano tra le persone sono direttamente pertinenti alla domanda posta; perciò anche le differenze nella carta astrale che ne deriva sono pertinenti al giudizio della questione. [12]

 

Ognuna di queste variabili – astrologo, luogo, istante e domanda – rappresenta una scelta di delimitazione. Questo astrologo e non altri, con le sue capacità e limiti, le sue idiosincrasie e i suoi punti di forza; questa sezione spazio-temporale e non un’altra delle innumerevoli possibili; questo problema specifico e circoscritto, assunto temporaneamente a fuoco centrale della mia intera esperienza. Questa azione selettiva volontaria, che crea l’immagine di un microcosmo pertinente e leggibile, in grado di dare risposte e indicazioni riguardo alla questione posta, rimanda a ciò che Eugenio Garin, storico del pensiero filosofico, ha definito «scegliere la propria stella»:

 

Orbene, se nella genitura le stelle scelgono il destino dell'uomo, l'uomo, attraverso la tecnica delle “interrogazioni”, scopre delle alternative ancora aperte, degli intervalli di indifferenza, in cui può invertire il processo e scegliere, a sua volta, la propria stella. [13]

 

Vediamo ora come questa scelta creativa si esplica concretamente in un esempio di domanda oraria, tratto da Christian Astrology di William Lilly, trattato teorico-pratico in tre volumi pubblicato a Londra nel 1647, che Deborah Houlding ha trascritto in caratteri moderni ed annotato per le edizioni Ascella, da cui ho tratto l’immagine della carta originale. Si tratta di una delle orarie più insolite, più interessanti e più studiate in assoluto, proprio per la sua singolarità.

>>>Seconda Parte

La Pietra Filosofale

NOTE

1] S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, UTET.

2] Confronta M. Ramazzotti, Prodromi di un’eresia. Note metafisiche e temi iconografici per un’archeologia dei cieli mesopotamici, 2009.

3] B. Brady, Astrology, a Place in Chaos, 2006.

4] Confronta G. di Pasquale, Immagini del Cosmo nei filosofi greci, 2009

5] A. Koyré, From the Closed World to the Infinite Universe, 1957, tr. it. di L. Cafiero, Dal mondo chiuso all’universo infinito, 1970.

6] Le teorie di Wilhelm von Humboldt (1767 – 1835), basate sul concetto di linguaggio come organo creatore del pensiero – come i numeri ci aiutano a calcolare, così le parole ci aiutano a pensare – per lungo tempo dimenticate, hanno conosciuto in questi ultimi anni una nuova fortuna, tanto da poter parlare di un gruppo di neo-humboldtiani, come Ernst Cassirer, che ha studiato il ruolo che i codici linguistici e simbolici hanno nella nostra conoscenza del mondo esteriore, come Emile Benveniste («il pensiero non potrebbe esistere senza linguaggio»), o come Leo Weisgerber, il quale si è fondamentalmente dedicato a definire il ruolo di intermediario che gioca la lingua tra la realtà e la sua concettualizzazione.

7] E. Sapir, Language. An Introduction to the Study of Speech, 1921. Tr. P. Valesio, Il linguaggio. Introduzione alla linguistica, 1969, 15.

8] E. Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, Berlin 1923-29 (tr. it. Filosofia delle forme simboliche, a cura di E. Arnaud, Firenze 1967, Introduzione, par. 2).

9] Confronta D. Fusaro, Ernst Cassirer, http://www.filosofico.net/cassirer.htm

10] E. Sapir, op. cit.,12.

11] R. Hand in Astrology in the Year Zero, a cura di G. Phillipson, 2000, 187.

12] J. Frawley, The Real Astrology, 2000, 33. Tr. it. di Patrizia Nava, “Linguaggio Astrale” n. 155.

13] E. Garin, Lo zodiaco della vita. La polemica sull'astrologia dal trecento al cinquecento, 1976, 42.

14] W. Lilly, Christian Astrology , a cura di D. Houlding, Ascella 1999, 223.

 

leone